Fibromialgia, dissonnìa e invalidazione.

Tra i sintomi invalidanti della fibromialgia possono esserci pesanti disturbi del sonno, come ad esempio sonno molto superficiale e agitato, mai ristoratore. A volte anche i farmaci possono addirittura peggiorare questo aspetto. È per questo motivo che un fibromialgico ha il continuo bisogno di recuperare, di riposare, perché si sente sempre come se non avesse mai dormito (e in un certo senso così è, perché non ha sperimentato, o l’ha sperimentata in misura insufficiente, la fase del sonno profondo). Ma la parte veramente più dolorosa e invalidante non è questa, è il non venire creduto dai familiari o dagli amici. La maggior parte dei fibromialgici sperimenta quotidiane umiliazioni e vessazioni da parte di chi gli sta vicino – come se non bastasse, tra l’altro, vedere la propria vita scorrere e non riuscire ad afferrarla. Viene trattato perennemente alla stregua di un ragazzino pigro e molto spesso colpevolizzato per la sua stessa malattia. Questo per due motivi principali: il primo è che la sindrome non è riscontrabile attraverso esami precisi (anche se probabilmente a una polisonnografia con elettroencefalogramma l’attività cerebrale risulterebbe anomala, ma raramente si esegue questo tipo di esami, anche perché scarsamente utili) e quindi la diagnosi è sempre clinica, cioè basata sulle testimonianze del paziente, e quindi bisogna in qualche modo “fidarsi” e, se di quella persona non ci si fida, non si crederà neanche alla sua sindrome. Il secondo motivo è che la sintomatologia riguardante la stanchezza, a meno che non si tratti di stanchezza conseguente a chemioterapia in un paziente oncologico – che oltre ad avere un problema evidente e riscontrabile ci ricorda la morte e il fatto che moriremo – è sempre vista con moralismo. La stanchezza mina la produttività, e la mancanza di produttività mina il valore morale di esseri umani. In questo caso quindi la sofferenza passa in secondo piano.
Ma, c’è da crederci, non esiste niente di peggio che soffrire e contemporaneamente essere umiliati dalle persone che dovrebbero sostenerti e aiutarti.
Dolore e stanchezza cronica non sono una colpa. Anche stamattina devo ripetermelo da sola, per non sprofondare.

La memoria del corpo: la malattia come cicatrice.

Mi piacerebbe raccontare come cambia il corpo, con una patologia cronica. E come cambia la percezione, del corpo, in un soggetto che del corpo ha sempre fatto il proprio oggetto di martirio, tortura e punizioni varie.

Io non credo nel karma, e tutte quelle cose lì, ma credo nella responsabilità individuale e nel fatto che, se gli fai del male per tanto tempo, prima o poi il corpo ti presenta il conto con una marea di interessi.

Quando ho fatto la mia prima e ultima visita reumatologica, il medico mi ha prescritto un antidepressivo SNRI.
La fibromialgia si presenta come un’alterazione neurologica della percezione del dolore e della stanchezza, in seguito alla quale il soggetto malato avverte sensazioni di dolore, stanchezza, ecc in seguito a stimoli che, in una persona sana, non causerebbero nulla o quantomeno non quel livello di dolore e stanchezza. Questa alterazione è dovuta a uno squilibrio di due ormoni fondamentali: serotonina e noradrenalina. Per questo gli SNRI (Serotonin–norepinephrine reuptake inhibitors – inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina) agiscono  – o dovrebbero agire, perché spesso non funzionano – in modo da rimodulare e ristabilire la giusta e “normale” percezione del dolore.

Così, mi ha dato il farmaco e mi ha detto di farmi seguire da un neurologo o da uno psichiatra. A quel punto, mi è sembrato giusto dirgli – cosa che finora non avevo fatto per paura di influenzare l’esito della visita – che già anni prima avevo fatto uso di antidepressivi, per via di alcuni problemi con l’umore (mi sono mantenuta vaga, preferendo non entrare nei dettagli).

La fibromialgia è una malattia misconosciuta, e sono tanti i medici che la trattano ancora come “malattia immaginaria” o pura somatizzazione di uno stato depressivo.
In realtà le cose non sono così semplici. Una correlazione tra malattia reumatica e psiche può esistere, ma non in modo così semplicistico e così diretto.
Esistono studi secondo i quali il dolore cronico tende a insorgere in soggetti con una determinata personalità: fragile, ipersensibile, tendente ad addossarsi le colpe dei mali altrui. Secondo altri studi tutto ciò invece non ha alcun fondamento di verità.

A me, personalmente, piace l’interpretazione del mio reumatologo, il quale mi ha detto che tutto ciò che viviamo lascia sul corpo delle cicatrici, destinate a restare come il segno indelebile del dolore che abbiamo vissuto e che portiamo addosso.

Alla rabbia è subentrato il mio stupido sottile compiacimento poetico. Mi piace pensare che la mia sofferenza sia inflitta per sempre nelle mie carni, che ci sarà sempre a ricordarmi ciò che sono stata e ciò che sono.

Siamo marchiati a vita dalla sofferenza, e il corpo non perdona niente.
Come noi non abbiamo mai perdonato niente a lui.