La Sindrome di Atlante: il riconoscimento.

Ho sonno, sono stanca, ho la pancia gonfia, pruriti e dolori diffusi. Mi sento giù di tono e ho perennemente voglia di mangiare.

Ho sempre avuto una spiccata tendenza a stancarmi facilmente e a sentirmi debole, ma la cosa è sempre stata minimizzata dall’ambiente che mi circondava, tanto da farmi pensare, alla lunga, che non ci fosse niente che non andava in me. O meglio, ciò che non andava in me era il mio continuo lamentarmi di qualcosa che in realtà non esisteva, che gli altri non vedevano, e quindi era meglio stare zitta. Be’, in realtà ho continuato a lamentarmi, raccogliendo dissensi e critiche ma imperterrita. Era pur sempre la cosa che mi riusciva meglio e non potevo certo smettere di farlo.

La scorsa primavera, dopo un fine settimana fuori casa in cui mi sono stancata un po’ più del solito, sono tornata a casa e non mi sono alzata più dal letto per 20 giorni. Sì, insomma, come sempre ero stanca, sentivo il bisogno di recuperare le energie, ma questa volta sembrava che io non le recuperassi mai. Dormivo quasi tutto il giorno, e continuavo a essere stanca. Avevo dolori a qualsiasi muscolo, atroci, e niente me li alleviava. Fu un periodo terribile. Non tanto per i dolori, per la stanchezza, e per la frustrazione di dover stare in quello stato, quanto perché i miei familiari mi trattavano da schifo, convinti che avessi deciso di scioperare dalla vita per pigrizia e che non stessi veramente male come dicevo.
Mia sorella, che è un medico, mi consigliò di parlare di questo mio malessere con la psicologa (all’epoca avevo frequentato per un breve periodo una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale), dando per scontato che, avendo io ricevuto una diagnosi psicologica, non potessi avere percezioni affidabili sul mio corpo.

Credo di essere cresciuta così: mettendo continuamente in dubbio le mie sensazioni, le mie percezioni di me stessa, i miei bisogni, le mie idee, i miei pensieri.
– Sto male.
– Tu non hai niente.
Entravo in crisi, e mi chiedevo: se è vero che non ho niente allora perché sto male? Evidentemente, ciò che io sento è sbagliato.
Credo, sinceramente, che le mie esigenze non siano state validate nel modo opportuno, e che questo mi abbia in qualche modo danneggiata, rendendomi completamente diffidente riguardo le mie stesse sensazioni e la mia stessa identità.

Fortunatamente il mio medico di base ha una moglie con la mia stessa malattia fisica e mi ha inviata da un reumatologo, il quale ha confermato il suo sospetto (e la diagnosi che io mi ero già fatta da tempo da sola): soffro di fibromialgia. Altresì conosciuta come “Sindrome di Atlante” – dal nome del gigante che, per essersi ribellato a Giove, fu costretto a reggere per sempre il mondo sulle spalle -, una sindrome bastarda, infida e sconosciuta che, semplicemente, rende la vita di chi ne soffre un fardello enorme e senza soluzione. Nessuna cura, nessuna riduzione dell’aspettativa di vita, ma un avvelenamento quotidiano e un drastico abbassamento della qualità di vita. Stanchezza cronica, pessima qualità del sonno, dolori muscolari trafittivi, colon irritabile, problemi ginecologici, disturbi dell’umore, emicranie, acufeni, sindromi allergiche, e chi più ne ha più ne metta. E soprattutto, l’invalidazione da parte del mondo circostante, che ti dice in coro che non sei malata, che il tuo problema è tutto nella tua testa. E in effetti è proprio dalla testa che parte, ma non nel senso che intendono loro.

Autore: Metempsicotica

"Do I contradict myself? / Very well then I contradict myself / (I am large, I contain multitudes)" W.Whitman

3 pensieri riguardo “La Sindrome di Atlante: il riconoscimento.”

  1. Ti ringrazio di aver scritto questo. Mi ha aiutato a capire un po’ meglio la situazione.

    In fondo anche nel mio caso la “stranezza” ha avuto bisogno di una definizione concreta. Sono faccende che si sviluppano diagnosticamente nel tempo. Esistono sindromi che si riconoscono solo dopo dei percorsi difficili.

    Sulle prime, dopo la diagnosi, disponevo di una argomentazione giustificativa. Magari si tratta proprio di ciò che aiuta a non cercare poi più giustificazioni, nemmeno più nella sindrome.

    Quanto al fatto che ci lamentiano (perché lo facciamo, diversamente, ma entrambi, chi con lamentazioni di spossatezze e chi con grugniti polemici e corrugamenti belluini), forse con il tempo si imparerà a chiedere quello che si preferisce. In modo che se è possibile e arriva è ok, altrimenti fa nulla.

    Potresti cominciare a fare esperimenti, chiedendo agli altri quello che ti pare.

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  2. A volte penso che, forse, l’insicurezza fa un po’ parte di me ma che gli altri l’abbiano alimentata e, come risultato, non mi fido mai di nulla di ciò che penso. Scandalosa la psicologa cmq

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    1. No, ma fu mia sorella a dire che dovevo parlarne con la psicologa. La psicologa non disse niente a riguardo, anche perché avevo già smesso di andarci.
      Purtroppo i medici in famiglia sono sempre condizionati dal rapporto che hanno con i pazienti/familiari e non sono mai veramente obiettivi, almeno per la mia esperienza.

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